venerdì 7 settembre 2018

IMMIGRATI E FAKE NEWS: FARE POLITICA A SCUOLA

In questi due mesi, a causa della risonanza mediatica di cui è stata oggetto l’attività didattica su “immigrati e fake news” da me realizzata alla fine dello scorso anno scolastico, ho ricevuto centinaia di messaggi, privati e pubblici, fra cui molte richieste, soprattutto da parte di colleghi insegnanti impegnati sulle stesse tematiche, di condividerne i materiali.
Ho deciso di affidarli al sito di MEMO, il Multicentro Educativo “Sergio Neri” del Comune di Modena, e, attraverso questa piattaforma, di renderli disponibili a tutti perché credo nell’importanza della diffusione e della condivisione delle buoni prassi didattiche.
Questa è la pagina dove è possibile visionare il materiale e scaricarlo:

Sono rimasta davvero colpita dalla quantità di contatti ricevuti che testimoniano, a mio parere, un bisogno di fare rete, di riconoscersi fra “resistenti” sparsi in giro per l’Italia in un momento in cui il nostro Paese sembra essere travolto da una specie di barbarie collettiva che si manifesta attraverso messaggi impregnati di odio, disprezzo, intolleranza nei confronti di chi è più fragile e diverso, amplificati dalla rapida diffusione che consente la rete. E io stessa, proprio in relazione a questa vicenda, non ne sono stata esente. Accanto infatti ai tanti complimenti ricevuti, non sono mancati ovviamente anche commenti negativi, a volte perfettamente in linea con il linguaggio aggressivo e violento di certi nostri governanti e dei loro supporter.
C'è in particolare una critica che mi è stata mossa da più parti e a cui sento il bisogno di replicare.

Una collega, una giovane insegnante piena di ideali e buone intenzioni, mi ha scritto scandalizzata perché, con questa attività, io mi sono permessa di “fare politica” a scuola. Non è stata l’unica a rivolgermi una delle “accuse” più diffuse ultimamente nei confronti degli insegnanti, a cui peraltro colleghi e intellettuali ben più capaci di me hanno saputo efficacemente rispondere.
Ora, a questa collega e a chi come lei mi ha accusato di “fare politica” a scuola vorrei prioritariamente rivolgere l’invito a scaricare l’attività didattica e svolgerla con lo stesso rigore intellettuale e fatica che hanno impiegato i miei studenti. Si tratta di dati, cifre, tabelle, relazioni da fonti ufficiali sul fenomeno migratorio in atto in Italia e sulla reale presenza di stranieri residenti nel nostro Paese, che ho cercato, selezionato e aggregato dispiegando un discreto impegno di tempo e energie. Sembra una banalità, ma fare una ricerca sistematica e documentata di questo tipo e trasformarla in un dossier con un impianto didattico coerente richiede molto tempo. Si tratta di cifre, non di slogan, di dati puntuali, non approssimativi, anche se ormai va di moda anche questo: smentire quanto riportano enti come l'INPS ritenuti inaffidabili perché “politicizzati” o l'ISTAT perché infiltrati da chissà chi.
Ma l'Ufficio Federale di Statistica della confederazione elvetica? Qualcuno ha forse il coraggio di mettere in discussione anche l’affidabilità e la precisione di un ente governativo elvetico? Sì, pure la Svizzera figura nel mio dossier, perché è un Paese che, per ragioni familiari, conosco bene e si presta sulla questione immigrati a un confronto significativo.
La Svizzera con il suo 25% di stranieri residenti e il suo 3,3% di disoccupazione al 31 dicembre 2017: immaginate la faccia dei miei studenti quando, confrontando questi dati con quelli dell'Italia (8,3% di stranieri residenti e 11,2% di disoccupazione) hanno dovuto elaborare una riflessione su questa fake news: "più aumentano gli stranieri più aumenta la disoccupazione"…
Chi è invaso? L'Italia o la Svizzera? Dove li metteranno mai gli svizzeri tutti questi stranieri con un territorio così piccolo e ricoperto di montagne?

Cara collega, se lei mi accusa di “fare politica" a scuola con un'attività di lettura, indagine e rielaborazione delle fonti, lei ha una grave carenza didattica. Si studi le indicazioni nazionali per il biennio delle superiori e verifichi se la padronanza dell'uso delle fonti non è un obiettivo fra quelli previsti per il curricolo di storia, e saper leggere grafici, tabelle, dati non sia un obiettivo trasversale. Che cosa poi si immagina che siano le competenze di cittadinanza? Imparare a memoria gli articoli della Costituzione o assimilarne gli ideali e i principi ispiratori?
A lei e a tutti quelli come lei che hanno pensato di riservarmi, fra gli insulti peggiori, l'accusa presumibilmente infamante di “fare politica" a scuola, vorrei dare una semplice notizia: è dai tempi di Platone che non c’è un insegnante che non faccia Politica a scuola. La faccio io aiutando i miei studenti a diventare cittadini consapevoli dei valori fondanti la nostra Repubblica, la fa lei con la sua ignavia, indifferenza, con il suo astenersi dal prendere posizione sui principi non negoziabili che regolano il patto della nostra convivenza civile.

Che significato ha per lei la parola "politica"? Si riduce al volto di Renzi, di Berlusconi, della Boschi, della Santanché, di Razzi? A cosa la associa di tanto sconcio e disdicevole dal momento che usa questa parola con un'accezione così dispregiativa?
Che razza di “materia” è per lei la politica? È qualcosa di pericoloso per le menti degli adolescenti al pari delle droghe, del sexting o che so altro di riprovevole?
Di cosa parla lei in classe ai suoi studenti? Della sorte degli animali che le stanno tanto a cuore? Non me ne vogliano gli animalisti, ma la signora in questione, mentre mi insultava in rete accusandomi di "fare politica" a scuola occupandomi di immigrati e fake news, si definiva una brava docente che condivide con i colleghi la passione per gli animali.
E per gli animali umani lasciati morire nel nostro mare non prova nessuna compassione? E per le zampette dei loro cuccioli agitate in acqua in cerca di soccorso non si commuove?
La nostra Costituzione non contempla ancora la solidarietà con gli animali non umani, ma quella con gli animali umani sì, invece. O vuole forse rifiutarsi di spiegare questo concetto ai suoi studenti perché è “fare politica”? Vuole vietarmi di parlare di solidarietà perché parlarne è “fare politica”? Lo sa che io, come prof di storia, sono tenuta a parlarne già quando spiego la rivoluzione francese dal momento che è uno dei principi su cui si è fondata e che ha ispirato le moderne democrazie? Liberté, égalité, fraternité. Casomai non lo sapesse, il termine "fraternité" noi in italiano lo traduciamo con "solidarietà" e, pensi un po', è un concetto che figura fra i doveri inderogabili che l'art. 2 della nostra Costituzione impone ai cittadini della nostra Repubblica.
Lo sa che io di politica devo parlarne già in prima spiegando la polis in storia greca e devo chiarire ai miei studenti i concetti di polis=città, politica=occuparsi delle cose della polis, cittadinanza, democrazia, rappresentanza, governo, oligarchia… e così via? Vuole che salti parte del programma laddove si incontra questa sconcia parola, “politica”? Che cos'è per lei non fare politica a scuola? Non è che lei confonde la propaganda con la politica? Ma la capisco, sa, ed è in buona compagnia perché il ministro della propaganda è il primo a lamentarsi dei docenti che "fanno politica" a scuola.

Cara collega amica degli animali non umani, lei mi esorta a “scendere in politica” se voglio fare politica, confondendo la politica attiva con la Politica. E allora io le annuncio che io non ho bisogno di scendere in politica per fare politica.
Ogni mio atto è un atto politico, che ha ricadute cioè sulla polis, sulla comunità in cui siamo inseriti, dal nucleo più ristretto della comunità dei nostri legami familiari e affettivi allo spazio allargato del nostro contesto lavorativo e sociale, a quello della città e del Paese in cui viviamo, fino a quello sovranazionale che, in quanto cittadini europei, abitiamo.
Ogni nostro atto è un atto politico, anche la scelta di non agire, non schierarsi, schermarsi per mancanza di coraggio, astenersi e delegare agli altri la responsabilità della scelta. Non esserne consapevoli ha ricadute sulla polis ed è per questo anch'esso un atto politico.
Lei non ne è consapevole, cara collega, ma con la sua ignavia a scuola anche lei compie un atto politico perché, per paura di “fare politica”, si rifiuta di fornire ai suoi studenti gli strumenti per diventare cittadini consapevoli della polis in cui stanno vivendo. E questa è una scelta politica, che produce cioè effetti sulla polis. Con la sua scelta di non fare Politica a scuola lei sta proprio facendo politica. Pensi che scandalo, cara collega.

Siamo figli dell'epoca,
l'epoca è politica.

Tutte le tue, nostre, vostre
faccende diurne, notturne
sono faccende politiche.

Che ti piaccia o no,
i tuoi geni hanno un passato politico,
la tua pelle una sfumatura politica,
i tuoi occhi un aspetto politico.

Ciò di cui parli ha una risonanza,
ciò di cui taci ha una valenza
in un modo o nell'altro politica.

Perfino per campi, per boschi
fai passi politici
su uno sfondo politico.

Anche le poesie apolitiche sono politiche,
e in alto brilla la luna,
cosa non più lunare.
Essere o non essere, questo è il problema.
Quale problema, rispondi sul tema.
Problema politico.

Non devi neppure essere una creatura umana
per acquistare un significato politico.
Basta che tu sia petrolio,
mangime arricchito o materiale riciclabile.
O anche il tavolo delle trattative, sulla cui forma
si è disputato per mesi:
se negoziare sulla vita e la morte
intorno a uno rotondo o quadrato.

Intanto la gente moriva,
gli animali crepavano,
le case bruciavano e i campi inselvatichivano
come nelle epoche remote
e meno politiche.

4 commenti:

  1. Brava.. Daniela..Chi Vuol Capire Capisce..Poi Si Sa Che Ci Sono i (COSIDETTI MULI)..Che Hanno i Paraocchi..Che Guardano Sempre La Stessa Strada..Senza Pensare a Niente.����

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  2. Grazie mille per aver condiviso i materiali, ne farò buon uso. Naturalmente condivido ogni singola riflessione espressa nell'articolo, inclusa l'amarezza. Ho vissuto lo stesso allucinante incubo ad occhi aperti durante questa estate travagliata vedendo non solo gente "comune" (ovvero che non ha responsabilità didattiche, per quanto tutti ne abbiano comunque di educative all'interno della società), ma anche colleghi esprimere concetti tanto poco intrisi di spirito critico, e vedendoli utilizzare quel gergo, quegli slogan, quell'ottusa cecità contro altri docenti, colpevoli unicamente di richiamare tutti ad un modo di discutere o trattare argomenti tanto delicati più civile, critico e consono al nostro ruolo...
    Amarezza, dunque. Ma adesso provo sollievo nel constatare ciò che in fondo già sapevo: le minoranze rumorose soffocano la voce di maggioranze silenziose ma pur sempre vigili. Spesso non si risponde a certe prese di posiizione perché si capisce al volo l'impossibilità di istituire un dialogo proficuo. E più che rabbia si prova dispiacere, per l'occasione perduta. A volte tuttavia non si riesce a resistere, lo sdegno trabocca e ci si infila in discussioni sterili perché non si riesce proprio a farne a meno. Qualcosa (di indubbiamente politico, nel senso così ben rappresentato da Wislawa Szymborska) ruggisce impedendoci di passare oltre e far finta di niente: tutto sommato siamo educatori, le cause perse in partenza o i casi apparentemente refrattari sono il nostro quotidiano. Non uno di meno, giusto? Quindi si cerca di far ragionare la gente, o quanto meno di suggerire uno stile più consono attraverso l'esempio. Quest'estate è capitato anche a me di entrare in questo genere di discussioni senza futuro. Ma leggere qui che sono stati in molti a notare come me l'articolo, a sentire fortemente l'esigenza di intervenire, appunto "fare rete", mi inorgoglisce e mi fa ben sperare per il futuro prossimo. Ok, sarà un anno in trincea: ma siamo tanti e agguerriti, venderemo cara la pelle dei nostri alunni! Grazie ancora.

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  3. Bentornata, Taz ;-)
    Carrie & co.

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